Le tabelle millesimali

Pubblicato su BJ Liguria numero 84 del giugno 2013

Le tabelle millesimali sono l’emblema del cambiamento epocale della gestione immobiliare: nate per definire i rapporti tra condomini, stanno diventando il virus della proprietà condivisa.
L’art 1123 del codice civile prescrive la necessità di ripartire le spese secondo un criterio di valore per le proprietà e secondo l’ uso per i servizi di cui ogni condomino beneficia.
Secondo le disposizioni di attuazione del codice civile art. 68 “i valori dei piani o delle porzioni di piano ragguagliati a quelli dell’intero edificio devono essere espressi in millesimi e in apposita tabella allegata al regolamento di condominio”.
La tabella generale relativa alla proprietà è pertanto parte integrante del regolamento e così sono da considerare le tabelle d’uso.
Secondo l’art. 1136 secondo comma, per la variazione del regolamento condominiale sembrerebbe sufficiente la maggioranza dei presenti. In realtà la copiosa giurisprudenza in materia ha pressoché chiarito che sia necessaria l’unanimità dei condomini.


Il condominio è oggetto di radicale riforma. La legge 220 del 11 dicembre 2012, che entrerà in vigore il prossimo 18 giugno, ha portato sostanziali innovazioni, ma non ha apparentemente eliminato la diatriba sulle tabelle millesimali.
L’evoluzione tecnologica, unita al cambiamento sociale intervenuto dal 1942 a oggi, ha reso le norme del codice civile un ostacolo alla gestione della proprietà. Se nella prima metà del Novecento la trasformazione degli immobili, buona parte dei quali di recentissima costruzione, era un evento raro e di scarso interesse per la comunione, negli ultimi decenni la tecnica impiantistica e l’ergonomia hanno fatto passi da gigante.
Le modifiche alle tabelle millesimali che sembravano allora un evento remoto sono ormai un “flusso” costante, vuoi per le ristrutturazioni edilizie, vuoi per gli adeguamenti impiantistici, per l’utilizzo di serramenti isolanti, per l’installazione di elementi radianti di design. La rapida trasformazione immobiliare, sposta altrettanto in fretta gli equilibri fra i valori delle proprietà, ma gli amministratori non hanno potere per porvi rimedio.
Nel corso degli ultimi anni, la frenetica variazione unita alla crescente responsabilizzazione degli amministratori condominiali, ha portato all’invenzione di metodologie di calcolo fantasiose. Come modificare prontamente le tabelle millesimali che richiedono una votazione unanime che è chiaramente difficile, se non impossibile, ottenere visto che comporta sempre l’aumento dei costi per qualcuno dei votanti?
Aiutati spesso da tecnici un po’ troppo pragmatici, per non ignorare le modifiche intervenute, ma decisi a variare le tabelle, gli amministratori ricorrono sempre più a uno stratagemma molto pratico quanto poco trasparente: anziché mantenere la tabella su base millesimale, i millesimi iniziano a “lievitare” diventando sempre di più.
Questo aumento del denominatore, del parametro di ragguaglio, porta un vantaggio immediato e strabiliante. Il condomino fiducioso che osserva il rendiconto senza esaminare attentamente il totale millesimale, troverà la propria quota millesimale invariata.
Il condomino sospettoso, invece, notando che i millesimi sono aumentati nel totale proverà a ragguagliare la propria quota per il nuovo totale e noterà che la sua quota millesimale è diminuita. Esempio: immaginiamo una variazione di valore dell’immobile di A (aumento superficiario) oppure di tabelle d’uso (aumento dei corpi radianti): prima della variazione A possiede 100/1000 e B ne possiede 200/1000. Dopo la variazione A ha aumentato e possiede ora una parte in più, verosimilmente A possiede 108/1000 e B 192/1000.
Tale variazione avrebbe richiesto un’assemblea, una discussione e una delibera, ma l’amministratore decide di adottarla in assenza, però non ragguaglia tutto ai millesimi come previsto, ma riporterà in tabella che A possiede 110/1010 e B 200/1010.
Dal punto di vista pratico nulla cambia, se non che sarà ora difficile per il condomino conoscere l’ammontare della propria quota senza un ulteriore ragguaglio.
Com’è possibile poi che sia diminuita senza una votazione? Come si può variare arbitrariamente la quota di proprietà senza l’intervento delle parti interessate? Chi ha, se non un giudice, il potere di determinare arbitrariamente la quota di proprietà di un bene? La risposta è sempre la stessa, ovvero che non dovrebbe essere possibile farlo, perché si lede uno dei principi fondanti della Costituzione repubblicana, la proprietà privata.
Il dubbio residuo è: riuscirà la riforma del condominio a sancire definitivamente il criterio di trasformazione delle quote sulle parti comuni?